giovedì 11 agosto 2016

L'amore pensato


Oggi vi voglio presentare i miei innamorati!
Ovvero le tavole con cui ho partecipato al concorso "Nicuzza - La magia dell'amore"  indetto nell' ambito della quarta edizione di Illustramente, un bel Festiva dell' Illustrazione per l' Infanzia nato in Sicilia.

Il Concorso era articolato in due categorie: una riservata agli esordienti, l'altra ai professionisti.
Nel caso ve lo steste domandando, io faccio umilmente parte della prima; ma nella mia categoria mi sono classificata terza, e di questo sono davvero molto, molto orgogliosa, soprattutto dal momento che tra i membri della Giuria c'era Daniela Volpari: illustratrice fantastica il cui stile ammiro ed amo davvero moltissimo!

Il tema del concorso, da cui prende il nome, è appunto "Nicuzza", come si intitola la serenata sicula scritta da Franco Finistrella: una canzone d'amore per una donna alla finestra, come tante in ogni tempo ne furono cantate e scritte.

Mi sono perciò lasciata ispirare da questa serenata: dalle parole e dall' atmosfera antica che ancora sa evocare, e ho provato ad immaginare questa scena...una scena vecchia quanto il mondo: quella in cui ci si ritrova a guardare l'amore da lontano.
L'amore che passa da una finestra, e da lei - o lui, che magari nemmeno sa che esistiamo: che non immagina nemmeno quanto siamo in attesa di un suo cenno...

Quel tipo di amore che si nutre di attese, di sguardi rubati, di dialoghi e baci che si immaginano soltanto, e che forse sono perfino più dolci così.
L'amore che sa essere una deliziosa tortura, una nebulosa attesa, una fame che non si placa mai.

L'amore che non si ha.
Che non si può avere.
Che forse si potrebbe, ma non si sa...
L'amore che non c'è, e allora si sogna: si immagina, si pensa e non si dice...
L' amore che si recita a bassa a voce come una preghiera o una formula magica.
Che non trova le parole giuste, oppure le trova e le vorrebbe cantare.

Quel tipo di amore che abbiano sperimentato tutti, almeno una volta nella vita...
Qualcuno non ha mai smesso di provarlo.
Qualcuno l'ha perso, e lo ricorda perfettamente.





A lui, che può desiderarla solo da lontano, sospirare e venerarla come una madonna; arrivano i petali leggeri dei suoi fiori: sono petali bianchi e rossi rossi, come piccoli cuori alati, che vanno dove va il pensiero, e sanno varcare confini; pure quelli che le parole hanno troppo pudore ad attraversare.

In fondo, come sempre si è detto e fu per il piacere, non è forse l'attesa dell'amore, essa stessa l'amore?

domenica 20 marzo 2016

Para todos todo!

                                                                                    


A Napoli lo sanno tutti quanti che il caffè è una cosa seria.
Una cosa antica, che sempre e da sempre ne sottintende tante altre.

Lo si intuiva da bambini, quando ancora la bevanda oscura ci era proibita, o ci si concedeva di assaggiarne solo un piccolissimo goccio trasgressivo.

Lo si intuiva, perché quando si andavano a trovare i parenti gli si portava sempre almeno "nu poco 'e zucchero e cafè", per non andarci con le mani in mano; e pure loro lo portavano quando venivano: lo zucchero e il caffè formavano un binomio di cortesia semplice semplice, e andavano a braccetto perché erano sostanze elementari, che in casa servivano sempre e con cui non si poteva mai sbagliare.

Lo si intuiva perché sempre, il caffè era la prima cosa che veniva offerta o che si offriva.
A chi veniva a trovarci, a chi pure era solo di passaggio; a chi era appena arrivato o stava andando via si proponeva il caffè.
Almeno il caffè!

Perché qui fare il caffè è la più immediata forma di ospitalità, la più vecchia, elementare premura.

Bere il caffè è un attimo, eppure è molto più di questo: c'è un rito che comincia col nominarlo, col proporlo, il caffè; che passa attraverso una piccola danza di parole e gesti familiari: il raccogliersi attorno alla tavola, ciascuno con la sua tazzina che fuma, da cui bere a piccoli sorsi il liquido bollente che subito finisce, ma il cui sapore forte persiste nella bocca ancora un poco...
Un rito che finisce col posare la tazzina,  che si esaurisce in questa effimera soddisfazione cui è così abituale e confortante abbandonarsi.

E tutti quelli che lo fanno buono, ritengono di avere il loro segreto, guadagnato con lunga esperienza e continui perfezionamenti.
Qualche volta il segreto si condivide con una persona fidata... e sempre, altro non era che un minuscolo particolare; un gesto apparentemente irrilevante, ma che per caso o per forza fa la differenza: un pizzico di questo o di quello in più, o in meno.
E sembra una sciocchezza, ma non lo è: tutto è importante nel rito del caffè, perché esso è una metafora di confidenza, di accoglienza, e di condivisione; un gesto che ristora e in sé racchiude una piccola pace; un momento di calma, appena un momento...
Forse il caffè è soprattutto questo: prendersi un momento.
E qualche volta in un momento c'è tutto.

E quando diciamo a qualcuno "ci prendiamo un caffè", anche lì la gamma delle sfumature di significato è praticamente infinita, perché un caffè può essere un pretesto per parlare, per concludere un affare, per fare pausa, per confidarsi o per conoscersi meglio; per suggerire a qualcuno questa antica idea di volerci passare insieme un po' di tempo (sia esso un'ora o tutta la vita), quando non trovi altro modo per dirlo.

Riflettevo sul nostro amore per il caffè, che da sempre ci spinge a declinarne le virtù in tutte le forme e le arti, e a quanto poco sappiamo, al contempo, di tutto quello che c'è dietro: cosa accade prima che esso si trasformi nella pozione magica che da sempre occupa un posto privilegiato nella nostra cultura e nella nostra socialità.
Molti di noi non riuscirebbero a farne a meno, eppure non hanno neanche mai visto una pianta del caffè, non immaginano che aspetto abbia, e nemmeno quanto siano meravigliose e ricche le sfumature rosse dei suoi frutti maturi; quanto durissimo lavoro costi e quanto spesso questo sia stato sfruttato e strumentalizzato.

Quella che vedete qui è la tavola con cui ho partecipato al Concorso di Illustrazione "Para todos todo" bandito lo scorso maggio dall' Associazione Qui e Là, in collaborazione con l'Associazione Tatawelo, con LiberoMondo e con l'Associazione Post Scriptum.
Il progetto Tatawelo si impegna da anni a sostenere le comunità indigene zapatiste del Chiapas attraverso la commercializzazione solidale del caffè.

Ci comportiamo come se il caffè fosse nostro da sempre, senza pensare che prima del nostro c'è un altro caffè, quello che cresce nelle terre lontane e assolatissime dell' Equatore, quello che va curato attentamente, come un bambino che muove i primi passi; che va nutrito, compreso, preservato; maneggiato con le opportune e millenarie conoscenze, nel rispetto della terra che l'ha generato e della vita di quanti siano ad esso legati e da esso dipendano.
In queste terre i rituali legati al caffè sono certo diversi dai nostri, ma altrettanto, forse più viscerali e più forti.

Riflettevo su questa ricchezza di simbologie e significati, pensando alle comunità zapatiste, che lottano per affermare il proprio diritto a vivere dignitosamente, senza lasciarsi soggiogare da una più ricca cultura; ci pensavo vedendo le foto di queste donne col volto coperto, con i grandi cesti in grembo e i bimbi in fascia, infaticabili e agguerrite, che seminano e raccolgono insieme col caffè qualcosa di molto più prezioso.

Perché anche qui il caffè è una metafora, ma prima di tutto di libertà e di autodeterminazione.
Un simbolo della lotta e del lavoro che ripaga.
Un simbolo di armonia con la propria cultura e con la terra, a cui spetta un rispetto immenso che spesso erroneamente scordiamo.

Esiste nella terra una magia potente che tutto investe.
C'è infinita magia, infinito potere nei frutti della terra, ed è un potere che giunge fino a noi in mille e oscure forme diverse.
Bisogna sapere come usarlo, perché sia fonte di dignità e di giustizia e non di sopruso e oppressione.

Forse non abbiamo idea e non siamo abituati a pensarci, ma anche nelle nostre tazzine c'è una piccola magia, che proviene da molto lontano e che ha persino più significato di quanto noi vi attribuiamo già.

C'è una piccola magia...
E qualcosa in noi lo intuiva già.






lunedì 1 giugno 2015

Un caso controverso...


 Ho provato davvero, per un momento, a scrivere questo post con un elegante distacco: tralasciando amarezza e triviali rancori del caso...
Purtroppo però non ci sono riuscita, e per parlarvi di questo lavoro mi vedo costretta a introdurvi in questa faccenda controversa...


Quest'inverno, sono stata scelta per illustrare la copertina di un libro di poesie dal titolo Magic Dreams, di George L. Buk.
Ho accolto questa commissione con enorme piacere, anche perchè era la prima volta che avevo l'occasione di illustrare la copertina di un libro!

Finito il disegno mi sono messa alla ricerca di un cosiddetto "blu fantastico" per dipingere questo cielo attraversato dal piccolo pilota col suo aeroplanino di carta e la sua luna-palloncino; e devo ammettere di essermi innamorata dell' effetto ottenuto dopo i numerosi tentativi!

E' forse anche per questo che sono rimasta molto delusa, quando a fine lavoro mi è stato chiesto di sostiutire lo sfondo...con un colore azzurro "piatto" e "digitale", eliminando la texture cui avevo così amorevolmente (e manualmente) lavorato, e che a mio parere conferiva al disegno intensità e carattere!

Lo ammetto: mi addolorava che l' adorato "blu fantastico" non avesse fatto breccia nel cuore dei committenti quanto nel mio...ma la mia perplessità maggiore era che gli elementi dell'illustrazione (la luna, il bambino, l'aeroplanino), così pittorici, non si sarebbero mai fusi in maniera armoniosa ed omogenea semplicemente copincollandoli su di uno sfondo digitale e piatto, come mi veniva chiesto!

Nonostante io non vada fiera del mio rapporto ancora piuttosto medievaleggiante con la colorazione e l'illustrazione digitale, persevero romanticamente nell' utilizzare tecniche tradizionali anche per la maggiore confidenza che ho con esse.
L'illustrazione è stata infatti dipinta con tecnica mista: acrilici, matite colorate, collage.

Ho cercato però di soddisfare tutte le richieste dei miei committenti, cui ho infine fornito le immagini dei soggetti scontornati come richiesto; e stavo per cominciare lavorare di malavaoglia a questo nuovo, più asettico sfondo, quando mi è stato proposto di vendere l'illustrazione "così com'è", causa gli ormai strettissimi tempi di consegna; lasciando alla comittenza l'onere di eventuali modifiche di sfondo e di grafica.

Così ho accettato.
Un pò perchè l'escalation di incomprensioni alla fine di un lavoro che mi aveva comunque impegnata per due settimane stava cominciando ad esasperarmi seriamente; un pò intimorita dall' ipotesi, pure palesatami per quanto assurda, di perdere la commissione (a lavoro ormai già finito).

Ho accettato certo con troppa ingenuità o stanchezza o buonafede...perchè quando ho poi chiesto di vedere la copertina finita, ho dovuto constatare amaramente che il mio lavoro era andato completamente perduto: non solo era stato modificato lo sfondo, ma l'intera colorazione era stata rifatta, e solo le linee del mio disegno erano state (grosso modo) mantenute, con un risultato che (come potete vedere) è quanto mai lontano dal mio stile!

Quando ho fatto presente ai committenti la mia delusione immane, mi è stato risposto che la mia illustrazione era purtroppo "più come un quadro", e che "le copertine oggi sono così"...

Che dire?! Sono davvero dispiaciuta per l'esito di questa storia, soprattutto perchè avrei voluto che la prima pubblicazione a mio nome fosse un lavoro di cui andassi fiera e orgogliosa; ma anche perchè, se la volontà dei committenti mi fosse stata meglio chiarita fin dall'inizio, avrei potuto ottenere risultati quantomeno analoghi ai loro desideri nella metà della metà del tempo...

Sono comunque molto contenta di poter condividere con voi questa tavola, che ho amato molto nella sua pura e originaria e sognante versione!

E' bene infine chiarire che nel libro attualmente in vendita, sono menzionata come "disegnatrice", mentre compare alla voce "illustratore" lo pseudonimo utilizzato dall' autore: George L. Buk...

Immagino che a questo punto sia giusto, o comunque meglio, così.



giovedì 28 maggio 2015

Scusate il ritardo



"In un luogo lontano, nascosto tra rovi e cespugli, sorge un piccolo regno dove vivono fate e elfi.
Ogni cosa in quel luogo, è molto, molto piccola..."


Per chi di voi non frequenti bambini sotto i cinque anni, stiamo parlando de "Il piccolo regno di Ben e Holly".



Ben e Holly sono questi due: un elfo e una principessa delle fate, che sono tanto amici, e che i miei nipotini adorati hanno magistralmente interpretato in occasione del gioioso Carnevale (si, lo so che Carnevale è passato da un pò: di qui il simpaticissimo titolo del post! ).
Quella che vedete in foto è la bacchetta magica di Holly, realizzata in cartapesta e dipinta con colori acrilici, per Viola.
Sono molto soddisfatta del risultato (non posso dire lo stesso della foto), pur avendo successivamente constatato con una certa apprensione che se scagliata contro il capo di un bambino, la bacchetta può rivelarsi un'arma contundente di rara eccellenza.

Usare la cartapesta mi ha affascinata sempre: si ha per davvero la sensazione di poter creare di tutto, e a partire da elementi così comuni e poveri!
Insomma è un materiale dalle potenzialità enormi, con cui mi piacerebbe sperimentare di più in futuro!

E' fondamentale ricordare, ai fini di questo post, che la reazione di Viola, alla vista della suddetta bacchetta è stata un entusiasta "E' ugualeee!"
amabilmente seguito da uno scettico "Ma perchè non parla?"

Ebbene si, mi pare di capire che la bacchetta vera ineteragisca in qualche modo con smorfiette e piccoli suoni (oltre a poter effettuare vere magie, si capisce...); ma per quello suppongo che i giornali con cui fare la cartapesta debbano essere magici, tipo il legno usato per costruire Pinocchio, e lì la reperibilità dei materiali ridiventa un problema!

Se ve lo steste chiedendo, superato quest' attimo di smarrimento, Viola ha accettato di buon grado il mutismo sfacciato della sua bacchetta, e adesso vive comunque felice e contenta.
                                                                                                                                       Fine

martedì 25 novembre 2014

'A vecchierella e 'u suricillo




“ Raccontami un fattariello! ” dicevo io.

A tutti quanti gli altri chiedevo favole, storie.
Ma sapevo che per lei, le favole erano fattarielli ; e allora li chiamavo così anch'io, per usare le parole sue.

E le parole sue, quelle che usava per raccontare, erano sempre le stesse: antiche, cantilenanti, definitive.
Quelle storie erano state raccontate centinaia di volte; ma le parole non erano cambiate mai.

" Quello del suricillo " aggiungevo io – perché quello era il mio preferito – e allora la mia nonna intrecciava le mani e cominciava a raccontare; con gli occhi contenti e il tono compiaciuto, di chi sta rivelando un segreto, e lo fa con tutti i suoi più piccoli e succosi particolari:

" Ce steva na vota na vecchiarella
   ca scopava na chiesiella.
   Na vota, scopanno 'a chiesiella
   trovaje nu turnusiello."

Cominciava così questa storia antica, e proseguiva teneramente, con un improbabile sposalizio tra la vecchierella in questione e un suricillo : un topolino, si.
Storia d'amore infausta! perchè il topolino novello sposo, incurante delle raccomandazioni della consorte, trovava inaspettatamente la morte nel pentolone del ragù da cui si era sporto troppo, nel tentativo di inzupparci un poco di pane.

È chiaro che già fermandoci qui, avremmo tutti gli elementi per turbare e sconvolgere la psiche innocente di ogni bambino...
E invece la storia continua...
Con la vecchierella che, tornata a casa, e scoperto il suo amato topino annegato, comincia a piangerlo disperatamente, e piangendo piangendo…se lo mangia!


Oggi mi piace appellarmi al cannibalismo rituale per spiegarmi questo finale truce ( in alcune culture antiche, cibarsi dei resti dei propri cari era un modo di preservare la loro essenza e tramandarne lo spirito, si si…).

Tuttavia non riesco a convincermene veramente, nè a trovare in questa storia una morale rassicurante che non sia unicamente quella di non sporgersi troppo dalle pentole mentre cuoce il sugo, se sei così piccolo da poterci cadere dentro.

Trovavo inconcepibile questo finale fin da bambina, eppure questa storia mi è sempre piaciuta...
Mi piaceva il modo in cui la nonna sceglieva le vecchie parole e ritmava le strofe; il modo in cui faceva i versi degli animali e imitava la voce del suricillo e poi quella della vecchierella, sorridendomi sempre con gli occhi, perfino mentre il suo personaggio piangeva.
Credo sia per questo che questa storia ancora mi piace tanto, anche se il finale non è come l'avrei voluto.
Ci penso, e non posso fare a meno di sentire la sua voce che racconta per me, di vedere le smorfie, le mani che gesticolano, gli occhi che ridono per farmi ridere.


 Ho voluto illustrare questa storia per te, perchè so che questo ti avrebbe fatto contenta e che stavolta avresti riso tu.
 E so che avresti detto che il disegno era bello... perchè lo dicevi sempre, di tutto quello che facevo io.

Quando ho cominciato a disegnarla, questa mia vecchina, mi sono resa conto subito che in realtà stavo disegnando te, anche se tu, questa pettinatura non ce l’hai mai avuta.
La vecchierella che ho sempre immaginato, ha sempre avuto la voce tua e per me sei sempre stata e sarai sempre tu.
Così ho cercato di dare ai suoi occhi il colore dei tuoi: quel grigio così assorto e liquido e prezioso, come il colore di certi cieli prima della pioggia…
il colore ormai introvabile che mi mancherà sempre.

Avrei voluto anch’io
Avere gli occhi belli
Come li avevi tu.

martedì 15 luglio 2014

Concorso Città del Sole

L'iniziativa "L'illustratore dell'anno", promossa da Città del sole ogni anno, ha come scopo la realizzazione di un calendario rivolto ai bambini dai due ai sette anni.
Per partecipare al concorso occorre inviare una tavola-campione ispirata ad uno dei dodici mesi dell'anno.
Questa è stata la mia proposta per l'edizione 2013/2014.

La mia idea era che i bambini interagissero in maniera creativa e personale con i fenomeni naturali caratteristici di ogni stagione.
Qui, una bimba dal cappuccio di coniglio si preoccupa che l'albero, svestito di tutte le sue belle foglie, possa aver freddo, e lo abbraccia dopo averlo avvolto in una calda sciarpa azzurra.




Ho scelto il mese di ottobre perchè volevo poter rappresentare un mese autunnale, dal momento che tra tutte, l'autunno è sempre stata la stagione che più mi ha letteralmente incantata.

All'improvviso le passeggiate non sono più così sfiancanti: il sole si fa più tiepido, l'aria ridiventa frizzante e pizzica la pelle nuda; ha perfino un odore diverso.
é la stagione delle molte fini e dei molti inizi, in cui tutto piano si placa, rallenta.
Quando la natura si veste di stupefacenti colori caldi, ci si sorprende persi a pensare ai cambiamenti,con un pizzico di compiaciuta malinconia; quando lentamente si spoglia, tutto fluttua come per una magia: per ogni foglia che cade, un pensiero si lascia trasportare dal vento.

lunedì 14 luglio 2014

Contest Buffetti


Ogni anno il gruppo Buffetti indice un concorso  per la realizzazione di un calendario.
Il formato è sempre così odiosamente rettangolare e il tema sempre "Il mondo Buffetti", ovvero quello degli articoli da ufficio e di cancelleria.
Questa qui è la mia tavola-campione, inviata invano per partecipare all'edizione 2013 (sono quasi certa che fosse il 2013).
La mia idea era quella di rappresentare, in ognuna delle dodici tavole, una sorta di personificazione, di musa  di questi oggetti di uso quotidiano, e vivificarli in maniera un pò poetica...
Dunque lei è la mia dolce e simpaticamente paradossale donna-matita!